LA SIGNORA DEI GOMITOLI by Gisella Laterza

LA SIGNORA DEI GOMITOLI by Gisella Laterza

autore:Gisella Laterza
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 2017-06-14T16:00:00+00:00


AURELIO

Gubbio

Un uomo si addentrò nel bosco, conducendo un bambino per mano.

«È ancora lunga la strada?» chiese il bambino.

«La mia no» rispose l’uomo. «La tua, figlio mio, è appena iniziata.»

Quando furono nel cuore della foresta, l’uomo si fermò. Disse: «Affronta la notte, Aurelio. Non avere paura. E, quando spunterà di nuovo il sole, torna a casa.»

E se ne andò.

Aurelio si sedette tranquillo su un sasso e aspettò. Da sempre si preparava a quel momento. Era un’antica tradizione del paese di Gubbio. Quando i ragazzi erano abbastanza grandi, venivano lasciati sugli Appennini per una notte. Se all’alba fossero riusciti a tornare a casa illesi, allora sarebbero stati chiamati uomini.

Aurelio era calmo. La foresta lo circondava in un abbraccio freddo e misterioso e il ragazzo ricordò le parole che gli aveva detto una volta suo padre:

“Non c’è niente da temere nella foresta, finché non si alza il vento. Se l’aria è ferma e tranquilla, stai sereno. Ma se si alza il vento da nord, sta arrivando il Lupo dell’Appennino. Allora ricorda il tuo nome. Aurelio significa “splendente”. Ricordalo sempre.”

Le tenebre erano sempre più fitte. C’erano solo buio e fruscii indistinti, e un gelo profondo. Il ragazzo rabbrividì e mise una mano nella tasca, dove teneva due pietre focaie. Radunò subito qualche ramoscello secco. Strofinò le pietre tra di loro. Il chiarore illuminò la mano di Aurelio, tremolò e si spense. Strofinò le pietre per la seconda volta. Il chiarore illuminò gli alberi attorno ad Aurelio, tremolò e si spense.

Si alzò il vento.

Risuonò un ululato.

Aurelio ebbe paura.

Cominciò a correre, tenendo in mano le pietre. Corse, corse e corse e gli alberi attorno a lui si facevano più fitti e gli sembrò di entrare sempre di più nella foresta anziché uscirne, ma quella era l’unica direzione possibile.

Si fermò quando fu così stanco da non poter proseguire. Riprese fiato, si strinse nel mantello.

Sfregò le pietre focaie per la terza volta.

E apparve il Lupo.

«Io sono il Lupo dell’Appennino» disse la bestia con una voce profonda e calma, come se lo stesse aspettando, come se fosse sempre stato lì. «Affrontami.»

Aurelio restò paralizzato dalla paura. Poi fuggì, scattando a sinistra. Continuò a correre. Non voleva affrontare il Lupo, voleva scappare, tornare da suo padre, nella sua casetta sicura. Sentiva che il Lupo lo inseguiva e non aveva il coraggio di voltarsi.

Guardò avanti.

Il Lupo era proprio di fronte a lui.

«Affrontami» disse quella voce bassa, ringhiando. «Io sono il Lupo dell’Appennino. Puoi sfuggire per un attimo, ma io ti ritroverò sempre. Affrontami.»

Aurelio fuggì, scattando verso destra, ma continuava a sentire l’ululato del Lupo, la sua voce che risuonava nelle tenebre.

Quando, sfinito, il ragazzo si fermò, il Lupo era ancora davanti a lui.

«Affrontami.»

Aurelio gridò e si girò per scappare, ma la strada non c’era più.

Solo il buio della foresta, il folto del bosco.

Allora si voltò di nuovo, le mani tremanti. Il Lupo era lì, incombente. Era la notte, era il buio, era la foresta stessa dall’intimo di ogni radice fino al grido glorioso di ogni albero.

Aurelio si fermò.

Il bosco lo circondava, immobile e irreale.



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